Villa Gamberaia si presenta come un regolare volume parallelepipedo nella migliore tradizione dell’architettura toscana. La villa è costruita di un basamento murato, una terrazza che è di fondamentale importanza nella logica spaziale di questo tipo di insediamento: il grande muro a scarpa, ripreso dalle sostruzioni Romane e già sperimentato nei modelli archetipi della villa toscana, come Poggio a Caiano, dà slancio e monumentalità all’architettura.
All’interno del basamento murato si trovano locali di servizio e d’uso agricolo, ai quali si accede direttamente sia dalla casa, sia dal campo di olivi di fronte. Si crea così una continuità spaziale e funzionale tra la residenza, il giardino e i terreni agricoli, secondo una concezione tipicamente toscana e italiana dell’organizzazione degli spazi. Il severo blocco murato è scandito dalle sei finestre inginocchiate del piano terreno, con mensole in pietra tra le quali nelle specchiature interne è modellata una losanga a rilievo. Al centro il sobrio portale bugnato segna il ritmo delle aperture, creando il centro ideale dell’asse trasversale al giardino. Questo asse infatti attraversa il cortile terreno e passa il portone retrostante per concludersi nell’elisse allungata del “gabinetto rustico” che collega il piano della casa al giardino superiore. Il parallelepipedo si apre su un lato verso il parterre con una magnifica loggia architravata con colonne tuscaniche, le medesime che scandiscono il cortile interno.
Dal primo piano della villa sul fronte retrostante si aprono due terrazzini su arcate sorrette da pilastri bugnati: il pilastro esterno sud ospita una scaletta a chiocciola che conduce dal primo piano della villa al giardino. Una geniale soluzione che racchiude la chiave per comprendere una concezione di vita estetica e funzionale al tempo stesso. Si può ritenere che le terrazze e la loggia siano state aggiunte dai Capponi, quando il giardino è stato arricchito anche dal parterre de broderie sul quale diviene così più significativo l’affaccio. Al piano terreno un grande salone si apre verso Firenze, mentre sul cortile si articolano gli altri spazi. Accanto all’ingresso retrostante sulla porta sinistra uscendo, si vede l’architrave con l’iscrizione che ricorda la costruzione della villa nel 1610. Anche gli ambienti del primo piano rispondono nella distribuzione, in parte resa più funzionale dai lavori di restauro eseguiti dopo la guerra, allo stesso spirito di perfetta semplicità campestre: uno stile a dimensione umana che bandisce ogni superflua monumentalità all’insegna della ricerca dell’essenziale. Per questo l’architettura della villa pur avendo attraversato quattro secoli di vita, risulta ugualmente così moderna e abitabile.
La storia di Villa Gamberaia
Situata sulle colline di Settignano, in posizione dominante sulla città di Firenze e la valle dell’Arno, la Gamberaia compare per la prima volta in documenti della fine del Trecento, quando un podere con casa colonica apparteneva al Convento di S. Martino a Mensola. All’inizio del Quattrocento divenne proprietà di Matteo di Domenico, che ha adottato il cognome Gamberelli. Due dei suoi figli, Bernardo e Antonio Rossellino, sono stati tra i più importanti architetti e scultori dell’epoca. Il nome della famiglia e della villa probabilmente deriva da gamberi, allevati in vasche d’acqua dolce nella zona.
All’inizio del Seicento, Zanobi Lapi, un ricco e colto mercante fiorentino, il quale aveva fatto fortuna nel settore tessile di lusso, acquistò la villa e cominciò a costruire la casa principale, in parte su basi preesistenti. Lui e i suoi due nipoti sistemarono le principali zone dei giardini e le condotte d’acqua per le fontane. Un secolo più tardi passò nelle mani dei marchesi Capponi. In seguito ai loro restauri, divenne presto nota come una delle più belle ville di Firenze. Nell’antico cabreo (c. 1725-30) e nelle incisioni di Giuseppe Zocchi (c. 1744), si ritrovano i suoi elementi distintivi: i due assi paralleli in direzione nord-sud della stradina di ingresso delimitata dai cipressi e del bowling green, e quello perpendicolare est-ovestche dà forma al cabinet de rocaille (gabinetto rustico), bordato da boschetti di lecci, il giardino tergale con la sua limonaia e, all’estremità meridionale, il sofisticato parterre alla Francese completo di voliera e “garenna” o “isola dei conigli”. Ad adornare grotte e pareti dei giardini statue, busti delle quattro stagioni ed urne.
L’ultimo intervento subito dal giardino, nonché l’unico eseguitovi in epoca moderna, fu la trasformazione di quel che rimaneva del vecchio parterre de broderie ubicato a sud della villa per volere di due talentuose proprietarie: la principessa rumena Catherine Jeanne Ghyka, nata Kashko, sorella della Regina Natalia di Serbia, che progettò il celebre parterre d’eau (iniziato nel periodo 1896-98) e l’americana Matilda Cass Ledyard, baronessa Von Ketteler, che conferì al giardino il carattere prevalentemente e le forme architettoniche che possiamo tutt’oggi ammirare (c.1925-1935).
Successivamente alla sua parziale distruzione nel corso della II Guerra Mondiale, nel 1954 la villa fu acquistata dall’industriale italiano Marcello Marchi, la cui famiglia era proprietaria di altre residenze storiche in terra di Toscana. Furono lui e la moglie Nerina von Erdberg a sottoporre la villa ed il giardino ad importanti lavori di restauro, immortalati nelle fotografie di Balthazar Korab (1966), che li restituirono al loro antico splendore. Nel 1994, la proprietà della villa passò alla figlia Franca (nel 1998) ed al marito Luigi Zalum, che proseguirono nell’opera di conservazione e restauro avviata dal padre. Anticamente originaria del principato Serbo di Zahlum (oggi Erzegovina) la famiglia Zalum è conosciuta per le attività mercantili e bancarie che esercita nella città di Livorno sin dai primi del ‘700.