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Principato di Lucedio

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Principato di Lucedio

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L’Abbazia di Lucedio è datata 1123, fondata dai Monaci Cistercensi i quali bonificarono il territorio introducendo, all’inizio del ’400, la coltivazione del riso.

Col passare del tempo, grazie alla strategica posizione geografica lungo la Via Francigena, l’Abbazia divenne un fiorente centro di potere economico e politico: ben tre furono i Pontefici che la visitarono.

Lucedio fu anche motivo di scontro tra casate dinastiche italiane: passata dai Gonzaga ai Savoia, l’Abbazia divenne proprietà di Napoleone all’inizio ’800.

Successivamente passò al marchese Giovanni Gozani di San Giorgio, antenato dell’attuale proprietaria, la Contessa Rosetta Clara Cavalli d’Olivola Salvadori di Wiesenhoff.

La storia del Principato di Lucedio
L’abbazia fu fondata nel primo quarto del XII Secolo, presumibilmente nel 1123 ad opera di alcuni monaci cistercensi provenienti dal Monastero di La Ferté a Chalon-sur-Saône, in Borgogna, su terreni donati loro dal marchese Ranieri I del Monferrato della dinastia degli Aleramici, terreni da bonificare, caratterizzati a quel tempo dalla presenza di zone paludose e di incolte boscaglie (denominate Locez, da cui il titolo dell’abbazia).

L’abbazia venne eretta come struttura fortificata ed assunse subito la denominazione di Abbazia di Santa Maria di Lucedio. Nel corso del XII, XIII e XIV Secolo la sua rinomanza e la sua espansione patrimoniale crebbero costantemente, per merito di abati che seppero coniugare spiritualità e fervore di opere.

Tra di essi deve essere menzionata la figura del beato Oglerio da Trino che governò l’Abbazia dal 1205 al 1214, data della sua morte. Venerato presto dai confratelli, il suo culto fu approvato in via ufficiale da Papa Pio IX.

Nel corso del Medioevo, l’abbazia svolse un ruolo di primo piano nella storia del Marchesato del Monferrato, essendo uno dei luoghi sacri più legati alla famiglia aleramica. Non a caso, molti marchesi decisero di farsi seppellire qui.

Il patrimonio terriero dell’abbazia si estendeva ben oltre le terre prossime al Monastero (con le grange di Montarolo, Darola, Castel Merlino, Leri, Montarucco, Ramezzana, ecc.), comprendendo anche appezzamenti dislocati in un’area vasta nel Monferrato e nel Canavese.

È interessante esaminare quale fosse il sistema di gestione adottato – sistema comune all’intero ordine dei cistercensi – che si basava sulla suddivisione dei possedimenti del monastero in grange, a capo di ciascuna delle quali non era posto un monaco (già gravato da impegni di ordine spirituale) ma un fratello converso che sapesse far fruttare la grangia.

I conversi, che coordinavano a loro volta il lavoro di liberi contadini salariati (chiamati mercenari), rispondevano della loro attività al cellerario, monaco che curava, per conto dell’abate, l’amministrazione dell’intera Abbazia.

La non lontana Abbazia di Santa Maria di Rivalta, nei pressi di Tortona, nacque come filiazione di quella di Lucedio nel 1171.

Nel 1457, con breve di Papa Callisto III, il Monastero cessò di essere di pertinenza diretta dell’ordine cistercense, divenendo Commenda, posta sotto il patronato dei Paleologi, Marchesi del Monferrato (con diritto, di nomina dell’abate e di riscossione di rendite).

Esauritasi, dopo quella degli Aleramici anche la dinastia dei Paleologi, il feudo passò ai Gonzaga subentrati a Casale nella reggenza del Monferrato; mentre i Savoia avevano iniziato ad avanzare loro presunti diritti sul Monastero. Solo nel 1707 essi riuscirono a portare a compimento il loro disegno.

Nel 1784 – dopo un periodo di forti attriti con la diocesi di Casale per la nomina dell’Abate commendatario, l’abbazia venne secolarizzata e le sue grange divennero parte della Commenda Magistrale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. I monaci cistercensi, ridotti ormai ad una decina, furono trasferiti a Castelnuovo Scrivia.

Nel 1792 l’Ordine di San Maurizio conferì la commenda al duca Vittorio Emanuele I di Savoia, ma dopo pochi anni il Monastero cadde nei decreti Napoleonici di soppressione degli ordini religiose. Fu proprio Napoleone a cedere la proprietà di Lucedio a Camillo Borghese, a parziale risarcimento delle collezioni d’arte che gli erano state requisite a Roma.

Caduto Napoleone, si aprì una contesa tra Camillo Borghese ed i Savoia sul possesso di Lucedio. Le proprietà vennero divise in lotti e cedute a vari personaggi (tra i quali il padre di Camillo Benso, conte di Cavour). Il lotto con il complesso abbaziale di Lucedio passò sotto il controllo del Marchese Giovanni Gozzani di San Giorgio che a sua volta, nel 1861, cedette la tenuta al duca genovese Raffaele de Ferrari di Galliera, al quale i Savoia conferirono il diritto di fregiarsi del titolo di Principe. Nacque così il cosiddetto Principato di Lucedio, denominazione che appare tuttora sul portale d’ingresso della tenuta. Attualmente essa appartiene alla famiglia Cavalli d’Olivola. (fonte: Wikipedia)

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