Tharros

La città di Tharros, ubicata all’estremità meridionale della Penisola del Sinis, venne fondata probabilmente alla fine dell’VIII secolo a.C. da genti fenicie in un’area già frequentata in età nuragica.
Su una delle tre colline su cui sorge la città, la più settentrionale, nota con il nome di Murru Mannu (in sardo “grande muso”), è visibile ancora oggi un importante villaggio di età nuragica (Età del Bronzo Medio-Recente). Anche sulla collina di San Giovanni si sono riscontrare tracce nuragiche: al di sotto della omonima torre, costruita dagli Spagnoli nel XVI secolo, si sono infatti riconosciuti i resti di un nuraghe, posto a controllo dell’altura. Infine sul Capo San Marco si trova un piccolo nuraghe, che indizia ancora di più l’interesse delle genti nuragiche per la zona, vista l’importanza strategica per il controllo del territorio.
Nella seconda metà del VI secolo, momento di grandi cambiamenti per il prevalere della politica espansionistica di Cartagine, Tharros non sfugge alla conquista da parte della metropoli africana. Ad età punica deve riferirsi la monumentalizzazione della città. Nel periodo compreso tra la fine del VI secolo e il 238 a.C., anno della conquista romana dell’isola, vengono costruiti numerosi edifici che ancora in parte si conservano sotto quelli di età successiva.
Ad età punica sono pure da riferire alcuni tra i più importanti luoghi di culto di Tharros. Tra questi il cosiddetto tempio monumentale o “tempio delle semicolonne doriche”. A partire dalla conquista romana dell’isola, avvenuta nel 238 a.C., si avvia quel processo di profondo cambiamento che avrà compimento solo in età romano imperiale.
Ad età repubblicana viene attribuita la risistemazione delle fortificazioni di Murru Mannu. È tuttavia in età imperiale che la città subisce i maggiori cambiamenti: viene effettuata una imponente risistemazione urbanistica con l’organizzazione di un settore della città, quello sul colle di Murru Mannu, con la risistemazione del sistema viario e conseguentemente dei quartieri abitativi. Attorno al II secolo d.C. le strade vengono dotate di una pavimentazione in basalto, prevedendo inoltre un sistema fognario molto articolato che garantisce lo smaltimento delle acque bianche.
Ancora ad età imperiale deve attribuirsi l’acquedotto, i cui resti sono in parte visibili lungo la strada moderna che conduce agli scavi. Per quanto riguarda le aree funerarie, esse appaiono più ampie e più estese rispetto al periodo precedente. Le necropoli puniche di Capo San Marco e di San Giovanni vengono ancora frequentate, soprattutto nei primi secoli della conquista romana, ma si assiste ad una espansione delle stesse, nel primo caso invadendo tutto l’istmo fino al colle di S. Giovanni, nel secondo spostandosi verso l’interno, con importanti attestazioni anche nell’area in cui in età bizantina sorgerà la chiesa di San Giovanni Battista.
In età paleocristiana e altomedievale le principali strutture romane subiscono delle modifiche, alcune terme vengono trasformate in edificio basilicale, che da alcuni viene considerato sede episcopale, altre cambiano d’uso, come la presenza di sepolture di età bizantina fa ipotizzare.
Il continuo spoglio delle strutture antiche, perpetrato per secoli, ha notevolmente pregiudicato la ricostruzione di questa fase tarda della storia del centro. Sappiamo di una lenta decadenza, dovuta anche alle incursioni dei Saraceni, e di un progressivo spopolamento, sebbene la sede episcopale sia rimasta ancora a lungo nella città. È solo nell’XI secolo, precisamente nel 1071, che la sede episcopale viene trasferita a Oristano, decretando, o meglio prendendo atto, della fine del centro antico.